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Il risveglio Quantico
Il risveglio Quantico

"Per salvare il pianeta dobbiamo farla finita con il capitalismo" , edito da Garzanti, è un libro utile. Forse addirittura necessario per ristabilire un contatto con noi stessi, recuperando un'etica che non ci è mai stata aliena, anzi, ci è appartenuta fino a pochi anni addietro. Di sicuro non servirà a cambiare il sistema capitalistico odierno, ma migliorerà - dopo averci indignato - la capacità d'analisi dello spazio in cui viviamo, ogni giorno.

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Horus
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Io sono la divinità,

la Luce Creante

che vivifica tutto

l'universo, tutte

le creature,

tutta la materia.

Il tuo spirito immortale

è una scintilla del Mio,

Io sono un grande Sole

e tu un raggio della Mia

Luce. Quello che frena ilù

passaggio della Mia luce

in te è il tuo attaccamento

alla materia, illusione che

ti circonda, gioia effimera

e transitoria. Tu sei luce,

percorrerai il sentiero

delle ombre per evolvere

la tua coscienza, e ritornerai

a Me, come una goccia d'acqua

immersa nel mare che dimentica

i suoi illusori limiti e si riconosce

parte indivisibile dell'oceano.

Non esiste gioia più grande

che uscire dall'ombra per

scoprire la verità, la reale

essenza della vita.

Respiro
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Il film di Cinzia Th Torrini, "IQBAL" (1998), liberamente ispirato alla vera storia del bambino pakistano ucciso il 16 aprile 1995 dai suoi ex-schiavisti per un pugno di tessuti e di dollari, s'inizia proprio con una dedica: "Al piccolo Iqbal Masih che ha sacrificato la vita per la libertà di tutti i bambini schiavi del mondo", un simbolo della lotta contro il lavoro minorile, a cui dedicare con orgoglio questo giorno di festa. Una pellicola da affiancare a quelle famose sulla strage di Portella delle Ginestre.
Iqbal, venduto a riscatto all'età di cinque anni dalla sua famiglia per sole 5000 rupie (ossia 140 dollari, ma c'è chi vale ancora di meno!), trascorre dodici ore al giorno, in condizioni pessime, incatenato ad un telaio per sei lunghi anni, finché, durante uno dei suoi innumerevoli tentativi di fuga, trova il coraggio di rivolgersi non alle forze dell'ordine (corrotte e comprate dai commercianti senza scrupoli) e neppure alla famiglia (che si vedrebbe costretta a riconsegnarlo al suo aguzzino per poter estinguere un debito senza fine), ma ad un sindacalista che si batte per la difesa dei diritti dei minori.

A 12 anni Iqbal può finalmente imparare a leggere e a scrivere, decide di impegnarsi nella lotta di liberazione di tanti altri coetanei che vivono la sua stessa sorte, rischia di suo e diventa famoso (riceve persino a Boston il premio dei giovani in azione per i diritti dell'infanzia), ma la sua notorietà finirà al contempo per nuocergli. Non appena i fatturati delle vendite dei tappeti pakistani cominceranno a scendere del 20%, la lobbie dei commercianti locali farà in fretta ad identificare il lui la causa della perdita economica, decidendo di condannarlo a morte.
Una piccola vittima sacrificale esposta troppo e pertanto poco tutelata anche dall'amico sindacalista, come sembra suggerire nel film un'attivista previdente, quando gli mormora: "La pubblicità che gli fai non è un bene per lui, rischia molto e ha solo dodici anni. Non lo stai proteggendo, lo stai usando".
Forse Iqbar si sarebbe esposto da solo, il film ce lo mostra determinato e coraggioso, irriducibile e votato alla causa, desideroso di istruirsi, ma anche di giocare o di far felice la nonna cieca, regalandole la bambola che non aveva mai potuto avere da bambina.          

Prima che il proiettile sicario trovi il proprio bersaglio nel suo giovane petto, nella scena finale lo vediamo correre sulla spiaggia in compagnia di amici, intento a far volare un aquilone, che resterà in cielo a volteggiare come un simbolo di speranza, mentre lui si accascia al suolo.
Il vero Iqbal non ha nemmeno meritato questo ultimo gioco: era uno dei 250 milioni di piccoli schiavi moderni, secondo le stime dell'UNICEF (la cui rappresentanza italiana ha patrocinato il film insieme ad altre coproduzioni europee), piccolo rappresentante di un problema ormai noto: in Pakistan lavora il 20% della popolazione minorile, in India 44 milioni di bimbi, in Bangladesh un quarto della popolazione infantile è impiegata nell'industria tessile, in Nepal ben il 60% dei bambini svolge lavori che ne impediscono lo sviluppo.
Le cifre impressionanti potrebbero proseguire, passando in rassegna altri stati. Ma mi fermo qui, ne basta solo uno, come Iqbal, per farci già vergognare di essere uomini, adulti, e forse anche di essere occidentali.
Mi permetto di segnalare due interessanti siti in Internet dedicati ad Iqbal:

- il primo, curato dai bambini della scuola elementare di
Canale, approfondisce numerose problematiche dedicate al lavoro infantile
- il secondo, prodotto dalla
Broadmeadow Middle School, ha l'intento di mantenere vivo il sogno di Iqbal attraverso una campagna di progetti ed iniziative didattiche.
Colgo inoltre l'occasione per ricordare che ad Afragola, vicino a Napoli, è stata da poco varata, da parte della scuola Europa Unita, l'iniziativa di costituire un museo - laboratorio permanente intitolato ad Iqbal Masih, proprio in un quartiere "a rischio", vicino idealmente a quelli del Sud-Est asiatico.
I suoi obiettivi sono quelli di creare una sorta di memoria storica dell'infanzia attraverso materiali dei e sui ragazzi esposti al disagio e di costituire una banca dati sulla condizione dell'infanzia nel mondo.

 

Si chiamava Iqbal, il piccolo tessitore pakistano, ucciso il giorno di Pasqua del 1995, mentre tornava a casa in bicicletta, vicino a Lahore, dopo sedici ore di lavoro accucciato nel retrobottega di un fabbricante di tappeti.

Leggi l'ultima lettera scritta da Iqbal Masih ai genitori

Iqbal Masih, baby-sindacalista, simbolo dei piccoli schiavi del 2000. Venduto a quattro anni per sedici dollari dai suoi familiari, che non avevano potuto restituire un prestito. Assassinato a dodici perché aveva osato ribellarsi e lanciare una crociata per sciogliere le catene di altri bambini venduti, rapiti, torturati.Viaggiando per le capitali dell'occidente per raccontare le sofferenze dei coetanei a cui era stata rubata l'infanzia in India, nel Vietnam, in Cina. Iqbal sognava un futuro da avvocato, grazie ai quindicimila dollari che una fabbrica di articoli sportivi statunitense assegna ogni anno a un giovane talento. Ma il suo rimase un sogno. Un anno dopo, i colpi di un fucile troncarono la vita dell'imberbe sindacalista. A sparargli uno squilibrato. Ad armare il fucile la potente mafia dei trafficanti di tappeti. Quegli stessi tappeti che occhieggiano dalle vetrine di lusso a Roma, Londra, Parigi, tessuti per un pugno di rupìe da milioni di piccole mani. Come quelle di Iqbal. Iqbal ripeteva spesso nei suoi interventi pubblici che "nessun bambino dovrebbe impugnare mai uno strumento di lavoro. Gli unici strumenti di lavoro che un bambino dovrebbe tenere in mano sono penne e matite". Lui, dall'età di quattro anni, tesseva tappeti. Era uno dei circa 8 milioni di piccoli lavoratori pakistani, tra i 10 e i 14 anni; nel suo paese i bambini costituiscono il 20% della popolazione attiva. In minima parte sono impiegati

 

 

La storia di Pedro...

Pedro ha 10 anni, braccia forti e uno sguardo perso nel vuoto. Dall'anno scorso fa il mestiere di spaccapietre in Perù. C'è molto lavoro, perché la cava a cielo aperto dove trascorre in media 10 ore al giorno è vicina alla capitale, Lima, e per le imprese edili è conveniente venire qui a comprare materiali per costruire i palazzi e le strade.

Siamo quasi tutti ragazzi, a lavorare con martello e piccone. Ci siamo passati la voce di questo lavoro, nel barrio, e la mattina veniamo su in gruppo, con l'autobus per un'ora e poi a piedi. A volte un camion ci dà un passaggio. Non è un lavoro che mi piace, faccio tanta fatica che a volte mi sento morire. Ma cos'altro potrei fare, non ho finito neanche due anni di scuola. Siamo poveri, i soldi servono. Spero solo di non farmi male, ci sono spesso incidenti. Comunque meglio qui che in miniera, come tanti amici miei rimasti al paese". 

nell'artigianato e nel lavoro agricolo, mentre la gran parte lavora nell'edilizia, fabbricando mattoni d'argilla, o nelle fabbriche. Al loro lavoro si deve gran parte del recente "miracolo economico" pakistano; o meglio, alla loro schiavitù, perché alla modernità dei prodotti: strumenti chirurgici e ottici, palloni da calcio, e via dicendo nella vasta gamma delle lavorazioni industriali, fa da contraltare una condizione di lavoro servile che in molti casi assomiglia alla schiavitù

 

 

La storia di Guri...

Guri ha 9 anni. Tesse tappeti in un laboratorio di Kathmandu, la capitale del Nepal. Tappeti venduti quasi tutti sul raramente ci chiediamo da dove vengono. Spesso vengono da piccole fabbriche in cui lavorano bambini e bambine come Guri. Hanno mani piccole e agili, perfette per tessere. Costano poco, questi schiavi-bambini: 150/200 Euro è il prezzo pagato dai mediatori alle famiglie, per sei mesi di "affitto" di una tessitrice.Praticamente 33Euro al mese _poco piu’ di un Euro al giorno Contratti capestro, difficili da sciogliere.

"Ci sorveglia un adulto. Si accerta che lavoriamo in continuazione. Quando si arrabbia, ci picchia con la bacchetta. E' da un anno che lavoro qui, con le altre bambine. Alcune avevano solo cinque anni quando hanno iniziato. Mangiamo e dormiamo nel laboratorio; c'è poco spazio e l'aria è piena di polvere di lana. Per tessere un tappeto quattro bambini hanno un mese di tempo. Il capo dice che ha prestato dei soldi ai nostri genitori, che dovremo lavorare finchè non sarà ripagato il prestito. Ci possiamo riuscire solo se lavoriamo sedici ore al giorno, senza ammalarci. Spesso mi chiedo quanto dovrò rimanere ancora davanti al telaio... Quando tornerò a casa?"